mercoledì, febbraio 07, 2007

La medicina amara di GIANNI MURA

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Va bene, è la medicina amarissima che si manda giù per cercare di
guarire. Dopo i fatti di Catania, il calcio non poteva aspettarsi un
buffetto sulla guancia e un paterno invito a mettere la testa a posto,
a darsi una ripulita dall'odio e dal sangue. Tanto meno poteva
aspettarselo dopo le pessime esternazioni di Matarrese, cui conviene
dimettersi per decenza prima di combinare altri guai. È grottesco (ma
anche sintomatico) che i presidenti del calcio campione del mondo si
facciano rappresentare da un personaggio del genere.

Passiamo alle cose serie, i provvedimenti usciti dalla conferenza
stampa del ministro Amato. Vanno bene, lo ripeto, e capisco il momento
particolare, la richiesta diffusa di sicurezza, di ordine pubblico
rinforzato. Però il calcio, come tante cose, è anche convivenza
civile, trasmissione di valori che si danno per scomparsi ma
tenacemente da qualche parte resistono. Trovo solo norme repressive,
niente di preventivo, di costruttivo, di educativo. Non compete al
ministero dell'Interno, si dirà. Certamente no. Infatti mi aspettavo
qualcosa di più da quello dello Sport, magari d'intesa con Fioroni.

Qualcosa che mi facesse sperare che un bambino che oggi ha nove anni
tra altri nove non tirerà una bomba carta né a un poliziotto né a un
tifoso avversario. Arriveranno più in là certe iniziative, forse. Non
sono progetti che si fanno in pochi giorni. Mi va bene l'osservatorio
sulla comunicazione sportiva, legato al progetto di traghettare dalla
cultura del nemico a quella dell'avversario, ma serve altro, di più.
Per intanto, guardiamoci allo specchio tra di noi.

Gli aspetti salienti, le novità vere sono due: il divieto di vendere
blocchi di biglietti per le trasferte per scoraggiare gli esodi
(spesso pericolosi) del tifo organizzato e, novità più difficile da
gestire, partite a porte chiuse ovunque tranne che negli stadi in
regola con il decreto Pisanu. Sono quattro in tutta Italia: Roma,
Palermo, Torino e Siena, ma possono diventare di più a causa del
divieto alle trasferte dei tifosi. Sabato si ricomincia, ma intanto si
intravede un campionato assolutamente anomalo, qualcosa di mai visto.

Prima di Catania, il decreto Pisanu era criticato da molte parti:
inefficace e lacunoso erano gli aggettivi più usati. Sì, ma solo
perché applicato in modo monco, ha replicato il diretto interessato.
Ora il suo decreto viene riproposto e potenziato (vedi diffida
preventiva anche per i minori, su cui ho qualche dubbio ma aspetto di
vederci più chiaro).

I dubbi maggiori li ho sugli stadi chiusi. Fermo restando che i
biglietti nominali, fin qui, sono stati un buco nell'acqua e che molti
normali cittadini hanno smesso di andare allo stadio per la lunghezza
delle code. Gli stadi che resteranno chiusi hanno avuto deroghe, o
problemi oggettivi. Non credo che in tutti gli altri stadi d'Italia
abbiano fatto i furbi sperando nella solita conclusione all'italiana.
Chi li metterà di corsa in regola, adesso, visto che nessun club è
proprietario dell'impianto?

Ma è la generalizzazione che non mi piace, forse perché mi interessano
più le persone delle cose. Non è lo stadio, più o meno a norma, che dà
il certificato di buona condotta a una tifoseria o a una città. È,
appunto, la condotta, il modo di occupare e vivere lo stadio. È salire
o scendere da un bus senza sfasciarlo. È tifare per i propri colori
senza insultare gli avversari né aggredire i poliziotti.

Questi posti non stanno su Marte, ci sono anche in Italia e anche in
Serie A. Basterebbe chiedere a un poliziotto, di quelli che ogni
domenica sono sui campi, se ritiene più a rischio lo stadio del Chievo
che non ha i tornelli o l'Olimpico che ce li ha. Chi non ha colpe né
precedenti, sul fronte dell'ordine pubblico, paga come chi ne ha
parecchi. L'innocente vale il pregiudicato.
Allo stesso modo, uno stadio chiuso toglie la droga festiva agli
scalmanati, che avranno modo di riflettere, ma anche il divertimento a
un sacco di brava gente. È fin troppo ovvio dire queste cose, ma vanno
dette con molta serenità, forse anche con la stanchezza di chi va per
stadi da più di cinquant'anni e molti discorsi gli suonano già
sentiti, molte situazioni già viste.

Dunque, le trasferte degli ultrà, spesso spedizioni paramilitari, non
sono vietate ma rese piuttosto problematiche, perché vietare la
vendita in blocchi di biglietti ha l'effetto di sciogliere il gruppo,
o almeno di renderlo meno compatto (anche in caso di disordini).
A parte un accenno della Melandri sulla recisione dei legami con gli
ultrà da parte dei club, resta irrisolto il problema degli ultrà
casalinghi. Altri ne sorgono, di tipo economico, di fronte ai cancelli
chiusi: gli abbonamenti da rimborsare, per esempio. Ma sui problemi
economici voglio sorvolare, c'è gente pagata per pensarci.

Voglio solo aggiungere che non sono gli stadi chiusi la migliore
reclame per riportare le famiglie alla partita. Sono gli stadi aperti,
ripuliti dalla violenza di ogni tipo e colore, sicuri, festosi. Con o
senza steward, è poco importante adesso. Se all'inglese o alla
tedesca, idem. Serviva un giro di vite. Eccolo. Norme nuove o
rilucidate. Eccole. La medicina è amara ma bisogna mandarla giù, e poi
ogni tanto controllare se è scesa la febbre.

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